Di Michael Hobbes, pubblicato lo scorso 2 marzo nel «The Huffington Post»
"Mi sentivo così eccitato quando m'ero tirato tutta la metanfetamina." Questo è il mio amico Jeremy. "Quando ce l'hai," dice "devi continuare a farne uso. Quando finisce, è tipo: «Oh Dio, posso tornare alla mia vita adesso.» Rimarrei in piedi tutto il fine settimana per andare ai festini sessuali [cioè delle orge] e poi sentirmi uno schifo fino a venerdì. Circa due anni fa sono passato alla cocaina perché il giorno dovevo lavorare." Jeremy mi sta raccontando da un letto di ospedale sei storie su Seattle. Non vuole dirmi le esatte circostanze dell'overdose, soltanto che uno sconosciuto ha chiamato l'ambulanza e che si è svegliato lì. Jeremy non è l'amico con il quale mi sarei aspettato di avere questa conversazione. Fino a qualche settimana fa, non avevo idea che facesse uso di qualcosa più pesante del Martini. E' curato, intelligente, gluten-free, il tipo di ragazzo che veste una magliettina qualsiasi per qualunque giorno della settimana. La prima volta che ci siamo conosciuti, tre anni fa, mi ha chiesto se conoscessi un buon posto dove fare CrossFit. Oggi quando gli chiedo come mai l'ospedale in cui è ricoverato è così lontano, la prima cosa che mi dice è che non c'è wi-fi e che ha lavoro arretrato sulla casella di posta elettronica.
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